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Corte d'Appello di Bologna > Risarcimento del danno
Data: 22/02/2010
Giudice: Brusati
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 1115/09
Parti: BNA – Banca Antoniana Popolare Veneta / Giuseppe M.
RISARCIMENTO DANNI DA MOBBING – VIZIO DI ULTRAPETIZIONE - DANNO ALLA PROFESSIONALITA’ E DANNO ALLA SALUTE – CRITERI DI LIQUIDAZIONE


Art. 2103 c.c.

 

Art. 2087 c.c.

 

Il Tribunale di Forlì aveva deciso sul caso di un dipendente vittima di un trasferimento illegittimo da Forlì a Rimini con contestuale demansionamento, richiamando l’istituto del mobbing  “con conseguente responsabilità ai sensi dell’art. 2087 c.c.” e riconoscendo al lavoratore il relativo risarcimento del danno (definito “danno esistenziale”) a seguito di CTU del dott. Ege.

La Corted’Appello di Bologna riforma in parte la decisione (anche per motivi processuali) affrontando diffusamente,  con la sentenza in commento, tutte le connesse problematiche.

Dopo aver accolto l’eccezione – proposta con appello principale dalla Banca – di nullità della CTU per avere il consulente d’ufficio convocato presso il suo studio il lavoratore senza preventivamente avvisare il CTP della Banca, ha esaminato l’ulteriore eccezione preliminare di ultrapetizione per avere il lavoratore in primo grado, nell’allegazione dei fatti ed articolazione delle conseguenti domande, fatto riferimento solo ed esclusivamente al demansionamento.

 

DEFINIZIONE DEL MOBBING

 

Secondo la Corte “manca in tale atto introduttivo di giudizio non solo ogni riferimento espresso alla condotta mobbizzante tenuta (secondo la sentenza impugnata) dalla Banca datrice di lavoro ma anche e soprattutto ogni allegazione in ordine ai fatti costitutivi di tale fattispecie come individuati dalla più recente giurisprudenza di legittimità, vale a dire (e detto in estrema sintesi, anche per evitare il rimprovero di fare una sorta di trattatello in materia o anche solo un più semplice mini cahier du mobbing pluralità di fatti, in sé legittimi o non legittimi, protratti nel tempo unificati (se così si può dire) dalla loro finalità illecita (id est l’intento persecutorio di cui parla la sentenza n. 3785/2009 della Corte di Cassazione o la volontà di perseguire ed emarginare il dipendente stesso di cui si legge nella sentenza n. 22858/2008 o la finalità di persecuzione o di discriminazione con condotta emulativa o pretestuosa di cui si parla nella sentenza n. 21028/2008), con conseguente evento lesivo della salute o della personalità del dipendente e la esistenza di un nesso eziologico fra la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico e il pregiudizio alla integrità psico- fisica del lavoratore (cfr. sempre la precitata giurisprudenza; v. anche nello stesso senso Corte Appello Bologna, Sez. lav. 11 aprile 2009).

In particolare il ricorso di primo grado non contiene alcuna allegazione fattuale in ordine all’elemento finalistico che rappresenta – come visto – uno degli elementi essenziali del c.d. mobbing.”

I giudici bolognesi deducono quindi che il Tribunale di Forlì, ravvisando nella condotta posta in essere dalla Banca gli estremi del c.d. mobbing ha violato il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, atteso che certamente il Giudice può dare alla domanda della parte una qualificazione giuridica diversa da quella data da tale parte; può interpretare il titolo su cui si fonda la controversia; può applicare norme di legge diverse da quelle invocate, fermi però restando i fatti allegati a fondamento di tale domanda “e ciò in quanto (ci sia consentita l’espressione) l’allegazione di tali fatti è monopolio esclusivo della parte”.

ULTRAPETIZIONE

La Corted’Appello, dopo aver  richiamato  alcune decisioni in materia di ultrapetizione (Cass. n. 6476/1997; Cass. n. 9176/1996; Cass. n. 3936/2002; Cass. n. 17610/2004; Cass. n. 8519/2006; Cass. n. 10922/2005; Cass. n. 17610/2004; Cass. n. 15053/2007; Cass. n. 15053/2007; Cass. n. 12402/2007; Cass. n. 15925/2007) deduce che il Giudice di primo grado, ponendo a fondamento della sua decisione i fatti costitutivi di una condotta mobbizzante che non erano mai stati allegati nel proposto ricorso, ha impedito  il pieno esplicarsi del diritto di difesa della Banca convenuta/ appellante principale “atteso che tale diritto di difesa – con relativo onere probatorio – si atteggia diversamente a seconda che sia dedotta la specifica violazione della fattispecie dell’art. 2103 c.c. o la violazione ( sub specie di condotta mobbizzzante) dell’art. 2087 c.c..”: di qui la fondatezza del motivo dell’appello della Banca in esame.

Prosegue la sentenza affermando che la stessa giurisprudenza di legittimità sopra richiamata in materia di qualificazione giuridica del c.d.mobbingcontiene affermazioni, condivise da queste Corte di Appello, che si ritiene confermino la fondatezza del motivo dell’appello.

DISTINZIONE TRA CONDOTTA MOBBIZZANTE E DEQUALIFICAZIONE

“Si intende, in particolare, fare riferimento alla decisione n. 22858 del 2008 della Corte di Cassazione che, dopo avere affermato che il mobbing è costituito da una condotta protratta nel tempo e diretta a ledere il lavoratore sul piano professionale o sessuale o morale o psicologico, attraverso una pluralità di atti (giuridici o meramente materiali, anche intrinsecamente legittimi) sorretti dalla volontà di perseguire o emarginare il dipendente stesso, ha specificato che lo specifico intento che caratterizza la condotta mobbizzante e la sua protrazione nel tempo lo distinguono dai singoli atti illegittimi, quali la mera dequalificazione ex art. 2103 c.c. ed il fondamento della sua illegittimità è costituito dall’obbligo datoriale ex art. 2087 c.c. di adottare le misure necessarie a tutelare la integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro.”

Proprio sulla base di tale distinzione la Corte afferma che la domanda proposta dal ricorrente diretta ad